In un futuro sempre più tecnologico e all’avanguardia, la produzione dei chip assume il ruolo di industria strategica. L’iperspecializzata catena di approvigionamento (o supply chain) dei chip ha permesso di tagliare i costi e aumentare le prestazioni, rendendo possibile il boom dell’information technology. Tuttavia, proprio la richiesta elevatissima, unita al sostanziale monopolio asiatico in questo mercato, ha imposto alle principali nazioni mondiali una nuova progettazione per fronteggiare la carenza di semiconduttori. Da un lato, per poter fronteggiare la carenza in settori fondamentali come quello delle auto, degli smartphone, delle televisioni, dei display e dell’elettronica invita i paesi a ricercare strategie e filiere in proprio, onde evitare, come nel caso giapponese, dipendente da Corea del Sud e Taiwan in questo settore, di dover bloccare la produzione. Dall’altro lato tuttavia la corsa autarchica potrebbe aumentare i costi. Infatti secondo la Boston Consulting e la Semiconductor Industry Associatcion, nei prossimi dieci anni il settore dovrà investire 3mila miliardi di dollari per soddisfare la domanda mondiale.
La posizione dell’Europa
L’Unione Europea, presentando la propria posizione nonché quella dei paesi membri, sta valutando di realizzare una propria autonomia rispetto alla produzione dei chip rendendola inoltre competitiva a livello mondiale. Una filiera proposta dal commissario al Mercato Interno, Thierry Breton, e supportata da venti nazioni (oltre che dall’amministratore delegato di Intel, Pat Gelsinger), con l’obiettivo di portare la produzione di chip ad almeno il 20% dell’offerta mondiale entro il 2030 (attualmente attorno al 10% e ben lontana dal 44% del 1990). Per poter procedere (anche per esplicita richiesta del gruppo Intel come parte degli accordi per aprire uno stabilimento in Europa), è richiesta una spesa di almeno 20 miliardi di euro, onde poter diventare competitivi sia a livello di progettazione (disancorandosi dal supporto statunitense) sia a livello di fabbricazione (monopolizzato dal mercato asiatico), investendo il 20% di queste risorse entro i prossimi tre anni. Tuttavia alcuni gruppi non ritengono sufficiente la domanda di mercato europea per poter giustificare un’espansione della produzione in proprio, motivo per cui alcune aziende come la Infineon e la STMicroelectronics hanno deciso di defilarsi.
La posizione della Corea del Sud
Il governo di Seoul ha varato giovedì 13 maggio una nuova serie di prestiti agevolati per le 153 imprese del settore nonché sgravi fiscali, tra cui la Samsung, a fronte di un investimento da parte del comparto di 450 miliardi di dollari entro il 2030. La sinergia con il governo della Repubblica di Corea proporrà un piano nazionale per la produzione di un’apposita area aziendale dedicata nella parte meridionale della capitale e l’assunzione di 36.000 nuovi addetti. Considerando come il mercato dei chip valga il 20% delle voci di esportazione della Corea del Sud, Samsung ha già deciso di investire 151 miliardi di euro entro il 2030 nonché la realizzazione di un nuovo impianto a Pyeongtaek, con l’obiettivo di diventare la prima azienda mondiale nel settore, inseguita dalla connazionale Hynix, che investirà 98 miliardi di dollari per espandere i propri impianti e 106 miliardi per produrne ulteriori quattro.
La posizione di Taiwan
Alla ricerca di un proprio ruolo di primato internazionale, il governo di Taiwan (ovvero la Repubblica di Cina) mantiene un ruolo di supremazia nella produzione di chip logici avanzati utilizzati per l’intelligenza artificiale e l’elaborazione dei dati, ad opera soprattutto della Taiwan Semiconductor Manufacturing, colosso che fabbrica i semiconduttori utilizzati negli iPhone. L’azienda di Taipei detiene il 50% del mercato nel segmento foundry, prevedendo di investire nuovi 100 miliardi di dollari in tre anni per l’allestimento di nuovi stabilimenti, di cui uno in Arizona.
La posizione della Cina
La Repubblica Popolare di Cina è a sua volta interessata a costruire un proprio spazio autonomo nel settore della progettazione e produzione dei chip nonché imporsi a livello mondiale nel mercato. Anche il governo di Pechino investirà nei prossimi dieci anni 150 miliardi di dollari secondo il nuovo piano quinquennale e il concomitante piano “Made in China 2025”. L’obiettivo di Beijing/Pechino è quello di raggiungere un’autonomia del 70% nella produzione dei semiconduttori per un ricavo di 305 miliardi previsti entro il 2030. La Cina è già predominante nell’assemblaggio dei componenti chip intermedi, ma a fronte di una domanda pari al 35% dei chip mondiali nel 2019, l’import di chip completi da Stati Uniti e dalla “Repubblica di Cina” di Taiwan è ancora troppo elevato.
La posizione degli Stati Uniti
Joe Biden, il quale ha incontrato il presidente sudcoreano Moon Jae-In in occasione dell’apertura di uno stabilimento della Samsung in Texas a fronte di 17 miliardi di investimenti, ha annunciato per suo conto un investimento di 50 miliardi di dollari per aumentare la produzione e la ricerca sui semiconduttori. Considerando la produzione di chip del mercato statunitense pari al 12-13% su scala mondiale, e considerando il calo dal 37% del 1990, il governo di Washington ha deciso di varare al Congresso, tramite accordo bipartisan, il “Chips for America Act”. Avvalendosi del supporto di Apple, Microsoft, Google, Amazon, Intel, Ibm e Qualcomm, gli Stati Uniti potranno contare così su una nuova lobby, la “Semiconductors in America Coalition”, che avrà sede in Arizona per cercare di ottenere il primato sulla produzione nonché sulla ricerca dei componenti.
La posizione di Giappone, Russia ed India
Altre grandi potenze ricercano invece nuovi accordi con i paesi leader nel settore per poter beneficiare della collaborazione con importanti aziende del settore ed aprire entro i propri confini nuovi impianti. È il caso della Russia, la quale sul piano delle telecomunicazioni, della biotecnologia e dell’intelligenza artificiale sta ricercando il sostegno della Cina. L’interesse russo è infatti quello di poter agire in un mercato privilegiato in accordo con i vicini asiatici a seguito delle misure “occidentali” contro il paese, non potendo espandere autonomamente l’export dei chip prodotti dalla Angstrem-T, l’azienda moscovita attiva nel settore. Uno dei mercati con la richiesta più alta è invece quello del Giappone, il quale sta affrontando una notevole carenza nei fornimenti di semiconduttori, tanto che l’azienda automobilistica Toyota ha dovuto chiudere per 8 giorni i propri stabilimenti sull’arcipelago. Il governo di Tokyo tuttavia investirà solo 1,8 miliardi sul settore, valutando quindi di non rilanciare una produzione nazionale di microchip quanto di richiamare investimenti da parte di aziende estere, ricercando inoltre accordi favorevoli con Cina e Taiwan. Sempre dipendente da quest’ultime nazioni è l’India, che nonostante l’aumento di competenze nella progettazione, non ha attualmente impianti di produzione nazionale, nonostante la domanda elevata.