La ricerca di una transizione energetica diffusa, efficiente e in grado di garantire le richieste dei consumatori nel conflittuale contesto mondiale, presenta numerose contraddizioni e problemi. È il caso di alcuni componenti essenziali del processo, ovvero le “terre rare”.
Cosa sono
Si definiscono terre rare un insieme di 17 elementi chimici, più precisamente cerio (Ce), disprosio (Dy), erbio (Er), europio (Eu), gadolinio (Gd), olmio (Ho), lantanio (La), lutezio (Lu), neodimio (Nd), praseodimio (Pr), promezio (Pm), samario (Sm), scandio (Sc), terbio (Tb), tulio (Tm), itterbio (Yb) e ittrio (Y). Tutti accomunati da una identificazione non facile, dal complesso processo estrattivo-lavorativo e, si riteneva al momento della scoperta in Svezia, da una diffusione non capillare, successivamente smentita. Ma non solo. Infatti, sono necessari nei processi inerenti alla transizione energetica.
Il loro utilizzo
In testa il neodimio ed il disprosio, questi magneti sono utilizzati per i veicoli elettrici (il 15% del totale dei materiali estratto nel 2020), per le turbine eoliche, per le componenti e per i processi industriali. Se consideriamo il totale ricavato nel 2020, delle 240mila tonnellate di elementi estratti sono stati utilizzati in questi processi tra il 29 ed il 35% dei campioni. Le risorse naturali di terre rare superano attualmente la domanda di consumo attuale, ma il discorso si complica in un’ottica futura di incremento della domanda.
L’estrazione
Consideriamo che nel 2020 la maggior parte dell’estrazione mondiale di terre rare (pari al 58%), della purificazione (il 90%) e della produzione di magneti permanenti (il 90%), è concentrata in Cina. Secondo i dati di Pechino però i costi di lavorazione ed i vincoli ambientali hanno limitato lo sviluppo degli impianti di lavorazione, vanificando i risultati. Si evince per tanto che il problema principale non sia rappresentato dall’estrazione, quanto nella lavorazione, che è complessa e richiede conoscenze specifiche per separare i singoli elementi ed convertirli in magneti permanenti di alta qualità. Un processo che genera diversi problemi ambientali.
La situazione
Irena (Agenzia internazionale per le energie rinnovabili, organizzazione internazionale finalizzata ad incoraggiare l’adozione e l’utilizzo delle energie rinnovabili) nel documento di approfondimento “Critical materialis for energy-transition – Rare earth elements”, ha dichiarato: «In uno scenario ambizioso di transizione energetica, la domanda totale di magneti permanenti per i veicoli elettrici ed eolici e le REE che essi contengono potrebbe più che raddoppiare da qui al 2030». Per cui, se le risorse in sé possono soddisfare le esigenze, l’espansione delle attività di lavorazione non riesce al momento a tenerne il passo. Sono necessari frattanto maggior implementazioni al riuso e al riciclo, investimenti strategici a livello globale (che certamente pongono la Repubblica Popolare Cinese come principale estrattore mondiale ma in un contesto di importazioni tra tutti i paesi ed una collaborazione nei processi di lavorazione) e la ricerca di vie alternative (come, nel caso delle automobili, di motori alternativi che evitino i magneti permanenti).
Soluzioni alternative
In pratica, tra il 2030 ed il 2050 i tecnici considerano la possibilità di recuperare terre rare (soprattutto neodimio, praseodimio, disprosio e terbio) dal riciclaggio e dal recupero dei rifiuti, accompagnato da una costante ricerca innovativa di soluzioni, ma nei fatti, sostiene Irena, l’esito «è incerto e l’adozione significativa anche delle soluzioni più efficaci richiederà tempo», in conflittualità con una domanda sempre più crescente e pressante.